L’origine del nome pelaverga si legherebbe secondo alcune fonti al latino pellis virga, e farebbe riferimento a una particolare tecnica adottata per favorire la maturazione delle uve, che consisteva nella parziale pelatura dei ramoscelli della vite.
Come pelaverga si conoscono in Piemonte due diversi vitigni autoctoni dalle caratteristiche genetiche e morfologiche autonome, coltivati in due zone distinte: per uno si utilizza l’aggettivo “grosso” e per l’altro “piccolo”, a sottolineare la differenza principale che sta nelle dimensioni dell’acino.
Il pelaverga grosso è originario delle zone pedemontane del Saluzzese, in provincia di Cuneo; nel Torinese è detto Cari, da Chieri, l’altro storico bacino di allevamento.
La tradizione lega l’introduzione e la diffusione in Langa del pelaverga piccolo all’opera del beato Sebastiano Valfrè nel Settecento, che lo avrebbe portato dal Saluzzese nella natia Verduno: gli studi (Mannini et al. 1991) dimostrano in realtà l’estraneità del pelaverga piccolo rispetto al pelaverga grosso: il pelaverga piccolo ha caratteristiche ampelografiche, agronomiche ed enologiche proprie, tanto da farne una cultivar a sé stante.
È un vitigno adattabile e versatile, di grande vigore. Per via del germogliamento tardivo ha una buona protezione dalle gelate primaverili; la produttività è elevata e costante. È allevato per lo più a controspalliera. Si caratterizza per grappoli di dimensioni medio-grandi, di forma conica o piramidale allungata, alati e compatti. L’acino è medio-piccolo, sferoidale o ellissoidale, con buccia di medio spessore con sfumature violette e molto pruinosa. Censita come varietà medio-tardiva, normalmente l’epoca di raccolta si situava nella prima decade di ottobre, dopo il dolcetto. Attualmente la finestra vendemmiale si sta anticipando attorno alla seconda metà di settembre.
I due pelaverga, grosso e piccolo, sono stati ufficialmente registrati nel Catalogo nazionale delle varietà di vite tra il 1981 e il 1994.